La crepa e la luce
“Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno”. Le ultime parole pronunciate da Gesù in croce sono le stesse scelte da Gemma Capra l’indomani dell’uccisione del marito, il commissario Luigi Calabresi, il 17 maggio del 1972. Che cosa può insegnare, oggi, una vicenda come quella del terrorismo che, forse, abbiamo relegato troppo presto ai libri di storia? Molto se osserviamo il silenzio con il quale le comunità di Poncarale e Borgo hanno accolto la testimonianza di Gemma, rimasta vedova all’età di 25 anni con due figli piccoli e un terzo in arrivo. Se tutto quello che era in casa le appariva estraneo, sul divano, di fronte alla notizia della morte del marito, sentì dentro “un’assurda pace, una forza interiore incredibile”. Avvertì di non essere sola. In molti, negli anni, le hanno confidato che hanno pregato per lei in una sorta di comunione dei viventi nella convinzione che ce l’avrebbe fatta. Poi disse a don Sandro: “Recitiamo un’Ave Maria per la famiglia dell’assassino che avrà sicuramente un dolore più grande del mio”. Il silenzio del pubblico in sala è stato catturato dalla semplicità con cui ha descritto lo smarrimento, il senso di sfiducia e il percorso intrapreso grazie alla preghiera. Ha coltivato, anche se ora si vergogna a dirlo, sogni di vendetta. Si arriva a perdonare solo nel momento in cui non si vede più l’altro solo come un assassino. In lei emerge una straordinaria fiducia nella vita, perché crede fino in fondo, da cristiana vera, che cambiare in meglio è possibile, per tutti.
Con gli incontri (250) nelle scuole e nelle parrocchie e con la pubblicazione del libro “La crepa e la luce” ha spezzato la catena di odio e violenza con parole d’amore. L’arcivescovo di Milano, il cardinale Colombo, ai funerali disse che il necrologio era un fiore posato sul sangue di Luigi che non sarebbe mai appassito e avrebbe dato frutto. In occasione delle feste quinquennali, è risultata felice la scelta di proporre il racconto di due figure (Gemma appunto e don Claudio Burgio, cappellano del carcere Beccaria) che hanno incarnato e incarnano la speranza. Una speranza concreta non ideale. Cosa può e deve, quindi, dire a noi? In un mondo sempre più frammentato e polarizzato, dovremmo fare più attenzione ai segni: l’altro non è un nemico da abbattere; l’altro non è solo l’errore che ha commesso. Durante il processo, Gemma fu colpita dal dialogo tra un imputato (un terrorista) e suo figlio. Sorpresa dai gesti di tenerezza, commentò: “Non era solo un criminale, ma era anche un buon padre”. Come affermava madre Teresa di Calcutta, “se vogliamo veramente amare, dobbiamo imparare a perdonare”.