lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
di MARCO TRABUCCHI 04 ago 2025 14:22

La cura e la gioia

Mentre stavo ripensando al significato, anche sul piano personale, della parola “cura”, ho letto il recente libretto del grande psichiatra Eugenio Borgna “La gioia”, edito da Einaudi. Un titolo inatteso, di grande fascino, che mi ha permesso di rispondere positivamente alla domanda se la cura donata o ricevuta sia davvero in grado di donare gioia. È un interrogativo che mille volte ci siamo posti, in particolare quando le difficoltà pratiche e psicologiche di prendersi cura dell’altro sembrano sopraffare il desiderio e la scelta di essere attori di cura. Borgna scrive: “Quando in un paziente, in una paziente, rinasce qualche goccia, qualche scintilla di gioia, non si può non sentirsi chiamati a intravvedere l’alba della speranza”. La gioia nasce dalla possibilità di sentirsi dire: “Tu sei importante per me”. Borgna riporta un pezzo di Papa Francesco: “La gioia nasce dall’incontro, dalla relazione con gli altri, dal sentirsi accettati, compresi, amati, e dall’accettare, dal comprendere e dall’amare; e questo non per l’interesse di un momento, ma perché l’altro, l’altra è una persona”. Parole che sono alla base della cura. Borgna descrive la gioia come condizione che permette di vivere bene: “Nella gioia non si hanno nemmeno più timori, e preoccupazioni, inquietudini del cuore e angosce: è un’emozione che rinasce in noi quando il cuore si sottrae alle inquietudini di ogni giorno, aprendosi a una speranza che consente di sopravvivere anche nelle situazioni umanamente più difficili”.

Nel libro è riportato un pezzo di padre Giovanni Pozzi, che scrive a proposito della cura: “Per ascoltare occorre tacere. Non soltanto attenersi a un silenzio fisico, per non interrompere il discorso altrui, ma un silenzio interiore, ossia un atteggiamento tutto rivolto ad accogliere la parola altrui. Bisogna far tacere il lavorio del proprio pensiero, sedare l’irrequietezza del cuore, il tumulto dei fastidi, ogni sorta di distrazioni”. Sono parole vere, nelle quali ci ritroviamo. Nel lavoro di cura la prima tappa è l’ascolto libero da pregiudizi, da ipotesi precostituite, dal ritenere di aver già intuito la sofferenza e i contenuti di un dialogo ricercato dal nostro interlocutore. Poi, scrive sempre Borgna, “Accogliere in sè i gesti, gli sguardi, le parole, i problemi e la vita degli altri e lasciare che quella vita altrui continui a svilupparsi in noi, diventando sempre più delineata: questo è il nostro compito essenziale. Siamo abituati a ricercare quali emozioni gli occhi riflettano, con il loro timbro silenzioso e febbrile? Cosa facile, e cosa difficile, è quella di comprendere il linguaggio degli sguardi, che nell’angoscia si oscurano, nella gioia risplendono. A volte si tende a non dare importanza, distratti da quello che avviene nel mondo esteriore”.

Qualcuno potrebbe giudicare troppo ottimistica la visione di Borgna; è, invece, una lettura attenta e realistica delle mille situazioni che caratterizzano la cura. Quante volte mi è capitato di incontrare operatori sorridenti nei servizi ospedalieri, nelle Rsa, nei servizi per i bambini, per gli anziani, per le persone che hanno ridotto la loro autonomia! Non sono atteggiamenti banali e superficiali, ma esprimono la convinzione profonda che i propri atti di cura inducono gioia in chi è curato, una gioia spesso celata sotto il dolore fisico, la sofferenza dell’anima, la solitudine. È la stessa gioia che si realizza nell’anima di coloro che hanno scelto di curare. Non sono solo quelli che curano per dovere professionale, che hanno scelto di intonare i propri atti alla gioia per un intimo desiderio di serenità, di pace, di restituzione al Signore dei doni ricevuti dalla vita. È ogni cittadino che nella giornata sceglie di accompagnare chi senza l’appoggio non riesce a camminare, fisicamente o metaforicamente; un appoggio che può costare (tempo, fatica e rinunce), ma che provoca sentimenti di gioia che si inseriscono come una leva positiva nella giornata. Scrive sempre il nostro grande autore in riferimento alla possibilità di guardare dentro di noi: “Un cammino necessario non solo alla conoscenza di quello che noi siamo, ma anche di quello che sono gli altri, perché nessuno si conosce bene quando è solo se stesso”.

MARCO TRABUCCHI 04 ago 2025 14:22