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di ADRIANA POZZI 21 apr 2016 00:00

La lezione di Lesbo

Il cammino dell’ecumenismo non si compie solo con i confronti teologici e le commissioni che discutono

Nella variegata compagine delle Chiese ortodosse, quella greca è certamente la più critica verso le diverse istanze ecumeniche e lontana dalla chiesa cattolica: eppure, è stato proprio il Sinodo permanente di questa Chiesa a formulare (insieme al Patriarca di Costantinopoli) l’invito che ha reso possibile il viaggio del Papa a Lesbo. Un evento di straordinario significato ecumenico, che segna una tappa importante, quasi un miracolo, nel cammino verso l’unità, sancita dalla presenza, accanto a Francesco e a Bartolomeo, di Hieronymos II, l’arcivescovo di Atene, e che apre nuove prospettive di dialogo rispetto alla secolare ostilità che separava la Chiesa greco-ortodossa da quella romana e alla freddezza che ha sempre segnato i rapporti tra loro a partire dallo scisma del 1054.

Così, le poche ore trascorse a Lesbo, che li hanno visti vicini l’uno all’altro, impegnati a testimoniare, in modo concreto e immediato, che il cammino dell’ecumenismo si compie non solo con i confronti teologici e le commissioni che discutono, ma anche e soprattutto con l’impegno comune lavorando per aiutare chi soffre, potranno, davvero, fare la differenza. Un ecumenismo definito da più parti “ dell’accoglienza”, che non chiude gli occhi di fronte alla realtà, che non nega le legittime esigenze di rispetto della legalità e della sicurezza, ma che lancia un forte appello alla coscienza dei cristiani perché i diritti di tutti vengano salvaguardati e difesi, al di là dei contrasti e delle differenze che pure possono sussistere.

Si tratta di una sfida non facile sia per Hieronymos che per Francesco: nella Chiesa greco-ortodossa, infatti, non mancano ancora alcune voci ostili a un riavvicinamento alla chiesa di Roma, che si sono espresse anche contro il viaggio del Papa a Lesbo. Ma è una sfida che essi hanno raccolto e che porteranno avanti nel segno della condivisione, della testimonianza e della preghiera come è avvenuto a Lesbo, dove non ci sono stati gesti di facciata o discorsi di circostanza, ma dove abbiamo visto tre uomini di Dio uniti nell’affermare coraggiosamente che i cristiani (e non le Chiese!) devono scendere in campo per tradurre il Vangelo in fraternità, solidarietà e aiuto, nella vicinanza agli ultimi e nella realizzazione concreta dell’unità, ricucendo le ferite della storia grazie alla carità e riconoscendo, in ognuno dei fratelli che incontrano, lo stesso Cristo in cui credono e che intendono servire.
ADRIANA POZZI 21 apr 2016 00:00