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Brescia
di URBANO GEROLA 20 nov 2025 09:42

La mensa popolare

Ieri come oggi sono tante le persone senza fissa dimora o in condizione di emarginazione grave che necessitano di un pasto caldo. A Brescia, fin dal 1995, era in atto una discussione su come offrire una risposta adeguata alle esigenze delle persone che non avevano nulla da mangiare. L’idea era di dare vita a una mensa dei poveri come succedeva già in altre città. Nella ricerca erano stati coinvolti la San Vincenzo, il Comune, la cooperativa La Rete, l’Associazione Amici e altri enti, ma non si riusciva a trovare il bandolo della matassa. Ad un certo punto, eravamo nel 1999, mi venne un’intuizione. Proposi alla San Vincenzo di partire lo stesso: decidemmo di aprire un’iniziativa, che abbiamo chiamato “Il Minestrone”, all’interno del dormitorio maschile. L’idea fu accolta bene anche da don Pierantonio Bodini, allora direttore della Caritas Diocesana. Distribuivamo un piatto caldo, un panino e un frutto a coloro che bussavano alla porta. Dopo poco tempo, con la Diocesi, che si stava interrogando sui segni possibili per celebrare il Giubileo del 2000, tornò di attualità il progetto della mensa dei poveri. Nella progettazione, furono coinvolti la Caritas, la San Vincenzo, le Ancelle della Carità, le varie associazioni degli Istituti religiosi maschili e femminili, i consacrati laici e il Centro Migranti. L’incontro decisivo si tenne presso il Convento di San Francesco. Il problema principale era, però, trovare una sede. Le suore Ancelle erano rappresentate da madre Riccarda, una suora rientrata in Italia dopo un lungo periodo in missione. Il 31 marzo del 2000 era morta la storica Superiora Generale delle Ancelle, madre Eugenia Menni. E suor Riccarda ricordò che nei sogni di madre Menni vi era stata anche la mensa. In un lampo mi trovai a dire che, se le suore avessero trovato lo spazio, avremmo chiamato l’opera “Mensa Madre Eugenia Menni”.

Nessuno dei presenti obiettò. Le Ancelle individuarono il locale in via Vittorio Emanuele II e, dopo opportune verifiche con il vescovo Sanguineti, acconsentirono alla titolazione. Si doveva pensare a predisporre la sede, adattando gli spazi alla nuova destinazione, non solo la sala mensa, ma anche i servizi annessi: un ufficio, lo spazio per l’ascolto e per l’accoglienza degli ospiti. Bisognava anche recuperare gli arredi necessari: cucina e banco distribuzione compresi, e attrezzare gli spogliatoi per i volontari. La Caritas affidò l’incarico alla San Vincenzo, cioè alla presidente Claudia Nodari Gorno. Madre Stefania, superiora della casa e generosissima quanto energica organizzatrice, supportò con decisione, fino al termine dei lavori, tutte le persone coinvolte. Mancavano solo la parte relativa alle modalità dell’accoglienza, un regolamento, la ricerca dei volontari e l’appalto con chi confezionava i pasti. Con l’amico Renato Barcellandi, collaboratore stretto di don Giovanni Marchina, mi recai due volte a Milano per conoscere l’esperienza delle mense dei frati francescani. Furono viaggi molto produttivi. La mensa fu inaugurata dal Vescovo nel mese di ottobre. Ovviamente terminarono l’attività del ”Minestrone” e la distribuzione dei panini alle porte dei conventi. I frati non chiusero totalmente perché il loro carisma non consentiva di respingere i poveri, ma ridimensionarono i loro interventi. Per i primi quattro mesi la direzione della mensa fu affidata a me. Era il tempo necessario per l’avvio, l’organizzazione e la ricerca da parte del Vescovo di un diacono permanente che gestisse l’Opera Segno che fu, poi, individuato in Mario Colli. Il resto è parte di quella storia che ancora oggi, 25 anni dopo, celebriamo e ricordiamo.

URBANO GEROLA 20 nov 2025 09:42