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di ANDREA CASAVECCHIA 10 nov 2016 08:56

Laureati fuori

Una delle ragioni delle scarse opportunità offerte dal mondo produttivo ai lavoratori qualificati è sovente attribuita dagli economisti alla composizione del tessuto industriale italiano, formato da piccole e medie imprese a gestione familiare

Si sa che investire in lavoratori qualificati significa promuovere il campo di ricerca e sviluppo che rendono i contenuti dei prodotti o dei servizi di un’azienda più appetibili e attraenti. In Italia le aziende poco investono sul capitale umano. Eppure sono le persone, a partire da quelle più competenti, la risorsa più importante nel mondo della produzione. Non solo perché innalzano la qualità, ma anche perché creano possibilità di lavoro per gli altri. Noi tendiamo a dimenticarlo. Ci si interroga sempre troppo poco sulle possibilità occupazionali che vengono offerte ai laureati, mentre siamo sempre disponibili a criticare le difficoltà del sistema di istruzione italiano a garantire livelli elevati e rispondenti alle esigenze di uno sviluppo continuo richieste dal mondo del lavoro globalizzato. Ma alle imprese l’alta competenza non interessa molto. Secondo un’indagine Istat anche tra le più dinamiche, definite innovatori strutturali, solo il 7,4% lamenta l’assenza di dipendenti qualificati. In media i laureati non superano il 10% delle risorse umane a loro disposizione. Tra le altre imprese la quota si dimezza e si scende sotto il 5%. Addirittura il 41,3% delle aziende non conta laureati tra i propri dipendenti. In questo campo il confronto con altri Paesi europei è impietoso: se in Italia l’80% delle imprese non impiega più del 10% dei laureati, in Germania la porzione scende al 50% e in Spagna al 40%. I laureati sono assenti solo nel 19,7% delle aziende tedesche e nel 18,2% di quelle spagnole.

Una delle ragioni delle scarse opportunità offerte dal mondo produttivo ai lavoratori qualificati è sovente attribuita dagli economisti alla composizione del tessuto industriale italiano, formato da piccole e medie imprese a gestione familiare. Queste adottano stili di reclutamento del personale e di gestione poco idonei alla valorizzazione delle risorse umane: si preferisce ricercare le persone per vie informali, si cerca di selezionare la dirigenza a partire dalla rete parentale.

Le piccole e medie imprese in passato sono state una forza propulsiva del sistema italiano, soprattutto per la loro agilità nella capacità di adattarsi alle esigenze del momento. Oggi però se vogliono conservare questa loro caratteristica non hanno altra scelta che affidarsi alla conoscenza e all’innovazione, altrimenti rimarranno al traino di altri e non saranno più protagoniste.

ANDREA CASAVECCHIA 10 nov 2016 08:56