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di GIUSEPPE MARI 21 mag 2015 00:00

Misurare la civiltà

L’impegno in favore di chi è colpito dall’autismo, come da altre forme di disabilità, domanda accoglienza e integrazione

Il 2 aprile scorso, ricevendo al Quirinale le associazioni familiari impegnate in favore di chi è affetto da autismo nonché singoli rappresentanti delle persone autistiche (l’autismo è un disturbo neuro-psichiatrico a cui è collegato un particolare tipo di comportamento) e di coloro che prestano quotidianamente servizio in loro favore, il Presidente della Repubblica ha svolto alcune considerazioni importanti. Anzitutto ha offerto un bell’esempio di apertura delle istituzioni affermando che i convenuti non erano “ospiti”, ma che si trovavano “a casa”. Inoltre, è sceso nel dettaglio osservando che l’impegno in favore di chi è colpito dall’autismo – come da altre forme di disabilità – domanda accoglienza e integrazione, e si è riferito in particolare alla scuola.

Considerando quello che avviene in Italia ossia che il disabile è inserito nelle classi “comuni”, Mattarella ha affermato che “dove questa integrazione è praticata con accortezza, con intelligenza, con passione, diventa una risorsa, diventa per tutti (…) un elemento di crescita, di arricchimento, di conoscenza responsabile del mondo e delle relazioni fra le persone” in quanto – ha proseguito – “conoscere chi è diverso, (…) scoprire la ricchezza che si manifesta in quella che talvolta appare fragilità, costituisce elemento di maturazione”. Sono parole che fanno riflettere rispetto all’inumanità alimentata da quella che papa Francesco chiama “cultura dello scarto”, secondo cui coloro che non corrispondono a standard funzionali sono trattati come insignificanti. Al contrario, c’è un grande e insostituibile significato nel non lasciare nessuno solo, quello che alimenta geneticamente la “comunità”, basata sulla condivisione.

Il Presidente è stato esplicito ed efficace: ha definito il prendersi carico di chi è nel bisogno – si è riferito a coloro che soffrono di autismo, ma vale per tutti – “un fatto importante, (…) è uno dei banchi di prova su cui si commisura la civiltà del nostro Paese”. In effetti, passa da qui la frontiera che separa la “civiltà” dalla “barbarie”: è l’attenzione a prendersi carico di chi è nel bisogno, riconoscendo in lui chi può dare e non solamente ricevere umanità. Dobbiamo tenerlo presente perché è il risultato di una conquista il cui mantenimento dipende da quanto si è attenti a non dare nulla per scontato, contenendo le tendenze di tipo pragmatico e utilitaristico che assumono altri criteri come decisivi in ordine al vivere civile.
GIUSEPPE MARI 21 mag 2015 00:00