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Brescia
di ADRIANO BIANCHI 10 mag 2018 13:17

Olmi, maestro di pazienza

"Olmi ci ha insegnato la pazienza, i suoi racconti sono un lungo racconto delle pazienze e qui nel costruire le storie quotidiane di quelle famiglie alle prese con i problemi del raccolto e degli animali, dei figli che arrivavano e della povertà che dominava, delle coppie che si sposavano e con i cicli stagionali che fanno maturare le 'pumates'"

Al mio paese c’era il Sant’Orsola, il cinema dell’oratorio, quello che oggi chiameremmo Sala della comunità, dove dopo il catechismo domenicale si andavano a vedere i film di Bud Spencer e Terence Hill. Il più “cattolico” (forse a causa del titolo) e impegnato di tutti era: “Lo chiamavano Trinità”. Il resto erano western, Zorro e qualche raro cartone animato. Era il cinema dei bambini. Poi sul viale c’era il cinema comunale (oggi abbattuto e sostituito, ahimè, dall’ennesimo parcheggio). Era il cinema dei grandi. Galleria e platea, più o meno un migliaio di posti. Uno schermo enorme. Varcare le sue porte era entrare in qualche modo nel mondo dei grandi. Il primo film di cui ho memoria visto in quella sala fu “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi, il regista bergamasco scomparso nei giorni scorsi. Era il 1978. Ci andammo con la scuola. Il film aveva appena vinto la Palma d’oro a Cannes. Quel racconto ininterrotto di una quotidianità carica di eventi silenziosi che formano la fragile materia vivente della civiltà contadina, permeata di riti e leggende, abitudini e preghiere, nel ciclo uguale delle stagioni e destinata ad infrangersi al crescere di una urbanizzazione inarrestabile mi colpì molto. Vi ritrovavo, pur con le dovute differenze, i paesaggi famigliari delle cascine vicine a casa, dei nostri paesi, della nostra campagna. Mi colpì l’uso del dialetto e alcuni stili di vita della nostra terra che ancora sopravvivevano, come il rito dell’uccisione del maiale sull’aia di cui anch’io sono stato testimone più o meno con le stesse modalità. Mi colpì, poi, il fatto che tutto questo, anche la grigia e nebbiosa Bassa Bresciana o Bergamasca, potesse essere location, ispirazione, trama di un’opera cinematografica capace di ottenere un consenso così unanime. Fu il modo in cui scoprii che c’era un’altro cinema, il cinema d’autore, quello che scava nell’animo umano e restituisce percorsi di senso.

Lo scoprii grazie alla grandezza umile di Ermanno Olmi. A quel film, che nacque dai racconti degli antenati, seguirono tante altre opere che ci hanno svelato la sua fede e la spiritualità profonda, la sensibilità delicata del racconto della vita dei semplici, una straordinaria capacità artistica e poetica da tutti riconosciuta. Una lezione che resterà, soprattutto una lezione di vita che ci ricorda che i più grandi sono coloro che sanno dare valore a ciò che è essenziale, sanno dare valore alla memoria, accettano la sfida del futuro, ma nelle radici trovano la bussola per non cadere negli errori del passato. Olmi ci ha insegnato la pazienza, i suoi racconti sono un lungo racconto delle pazienze e qui nel costruire le storie quotidiane di quelle famiglie alle prese con i problemi del raccolto e degli animali, dei figli che arrivavano e della povertà che dominava, delle coppie che si sposavano e con i cicli stagionali che fanno maturare le “pumates”. Olmi insieme alla pazienza sembra fare trascorrere davvero la vita inclinando talvolta verso un lirismo che sa di una naturale conciliazione con il mondo e a volte con la vita dura. Il dvd de “L’albero degli zoccoli” fa bella mostra nella mia videoteca personale. In questi giorni di una cronaca spaesata e confusa per l’ennesimo triste passaggio di un’Italia persa e bloccata credo che farò una pausa e dedicherò una serata a rivedere il capolavoro lombardo del maestro. In cerca di un po’ di pace. 

ADRIANO BIANCHI 10 mag 2018 13:17