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Brescia
di LUCIANO ZANARDINI 08 nov 2019 09:24

Pensare la pace, costruire la pace

A 30 anni dalla caduta del muro di Berlino, la terza edizione del Festival della Pace diventa l’occasione per riflettere sull'Europa e, più in generale, sul mondo contemporaneo

Brescia e la pace. La terza edizione del Festival, dal 15 al 30 novembre, ha il merito di riportare al centro, attraverso diversi linguaggi espressivi (incontri, mostre, spettacoli...), la pace. A 30 anni dalla caduta del muro di Berlino, la manifestazione diventa l’occasione per riflettere sull’Europa e, più in generale, sul mondo contemporaneo. Sono mutati gli equilibri internazionali, ma non è stata superata la logica della contrapposizione e dello scontro tra potenze. Valori universali come giustizia, solidarietà e cooperazione sono messi in discussione da ondate di intolleranza, xenofobia e rigurgiti nazi-fascisti.

Viviamo, inoltre, in una società sempre più conflittuale. Brescia è anche la città di Paolo VI, che alla pace ha dedicato l’istituzione di una Giornata mondiale e soprattutto molteplici parole cariche di significato. Indimenticabile il “Mai più la guerra” del 4 ottobre del 1965 alle Nazioni Unite. Sappiamo bene, però, che oggi la guerra, apparentemente lontana dalla nostra quotidianità, coinvolge e semina il terrore in 69 Stati. Del resto nella Populorum Progressio spiega che “le disuguaglianze economiche, sociali e culturali troppo grandi tra popolo e popolo provocano tensioni e discordie, e mettono in pericolo la pace”. Ma la “la pace – come annotava sempre Paolo VI – non si riduce a un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze”. Non basta un Festival a rispolverare quella cultura di pace che ha contraddistinto il nostro territorio e le nostre comunità.

Sono tante le associazioni (Pax Christi, Acli, Azione Cattolica, Movimento Nonviolento…) che si sono impegnate per la promozione della pace e hanno tenuto alta l’attenzione. Nel terzo millennio è venuto un po’ meno l’impegno diretto delle parrocchie. Spesso la pace, al di à di qualche sporadica iniziativa nel mese di gennaio, viene messa in secondo piano. Non risulta prioritaria. Non a caso il vescovo Pierantonio ha in animo di chiedere alle comunità cristiane di riprendere in mano la questione, con il coinvolgimento della Commissione Giustizia e Pace, favorendo la nascita di nuovi percorsi. Educare alla pace significa essere testimoni autentici del dialogo e del confronto sul lavoro, nelle nostre associazioni e nelle nostre comunità, partendo dai rapporti interpersonali, senza perdere di vista le questioni più generali, come i modelli di sviluppo, la distribuzione delle risorse e la gestione del potere.

La mancanza dei diritti e le stridenti disuguaglianze rendono spesso privo di senso il solo pronunciamento della parola “pace”. Va anche detto che la Diocesi è in pianta stabile nel direttivo di Opal, l’Osservatorio Permanente Sulle Armi Leggere, che, attraverso dati, numeri e ricerche, ci ricorda, giorno dopo giorno quanto la diffusione delle armi italiane e bresciane infiammi i conflitti. Dobbiamo, probabilmente, ripartire anche dai più piccoli. “Come possono finire le guerre nel mondo, se noi non siamo capaci di superare le nostre piccole incomprensioni e i nostri litigi? I nostri atti di dialogo, di perdono, di riconciliazione, sono ‘mattoni’ che servono a costruire l’edificio della pace”. È la raccomandazione che, nel maggio 2015, Papa Francesco rivolse ai circa 7.000 bambini delle elementari presenti all’incontro nell’Aula Paolo VI organizzato dalla Fabbrica della Pace. E il Festival offre anche un viaggio nel cuore dei diritti in occasione del trentennale della Convenzione Onu sui Diritti dell’infanzia approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989.

LUCIANO ZANARDINI 08 nov 2019 09:24