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Roma
di PAOLA ZINI 14 ott 2021 08:03

Quale antidoto alla violenza?

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Le tensioni e aggressioni di sabato scorso a Roma per le manifestazioni anti green pass ci sollecitano a riflettere e a interrogarci su un tema non nuovo, quello della violenza, fisica e verbale. Oggi assistiamo alla proliferazione di un linguaggio violento, fatto di insulti e offese. Dallo sport, alla politica, alla cronaca, al web sentiamo parole cariche di rancore, di disprezzo. Possiamo dire che l’odio sta diventando virale. L’espressione hate speech indica proprio il discorso d’odio, che, secondo la Raccomandazione (97)20 del Consiglio d’Europa è “comprensivo di tutte le forme di espressione miranti a diffondere, promuovere o giustificare l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo e altre forme di odio fondate sull’intolleranza”. Chi fa questi discorsi d’odio si nasconde dietro la volontà e il diritto di esprimere la propria opinione. Ebbene, il confine tra libertà di espressione e violenza è sottilissimo, soprattutto se tale libertà è esercitata nella propria autoreferenzialità, nel proprio isolamento. Diverso, invece, è esprimere la propria idea, il proprio punto di vista, aprendosi all’incontro con l’altro.

Quali antidoti, dunque, alla chiusura, all’intolleranza, alla violenza? L’antidoto è la relazione, l’incontro, lo scambio con l’altro. Per incontrare l’altro devo riconoscerlo, riconoscere i suoi bisogni, le sue difficoltà, ma anche i suoi punti di forza, le sue risorse. Ciò significa ascoltarlo, nella consapevolezza che ascoltare è assai più difficile che parlare, oggi più che mai, in un mondo dove sembra prevalere chi urla rispetto a chi ascolta. Ascolto veramente quando sono capace di mettere in discussione ciò che penso e ciò che sento, per fare spazio ai pensieri e alle emozioni altrui, con cui dialogare, attivare un confronto. In questo modo all’analfabetismo emotivo contrapponiamo l’empatia, all’autoreferenzialità il riconoscimento dell’altro. L’incontro con l’altro, inoltre, ci aiuta ad assumere consapevolezza del senso del limite, ci aiuta a tracciare confini che è importante non valicare, per non arrecare danno all’altro. Che tipo di relazione? Una relazione che abbia in sé alcune caratteristiche: una relazione circolare, non unidirezionale, ma che favorisca e sviluppi uno scambio. Ciò ci aiuta a comprendere la nostra interdipendenza, reciprocità, non siamo isole, non siamo e non possiamo essere autosufficienti, ci realizziamo come persone solo nell’incontro con l’altro. Una relazione in cui si possa sperimentare un conflitto positivo, riconoscendolo come momento significativo di crescita e di cambiamento, come occasione di apertura al punto di vista dell’altro e di confronto.

È accostandomi al diverso da me che assumo consapevolezza della parzialità della mia visione, che, invece, nell’incontro con l’altro, mi viene restituita nella sua complessità, nelle sue sfaccettature. Una relazione che richiami alla responsabilità, alla partecipazione, che non faccia voltare dall’altra parte ma che faccia intervenire di fronte ad una offesa o a una minaccia verso un’altra persona. Una responsabilità che si contrappone all’indifferenza.

Nutriamoci e alimentiamoci, dunque, di relazioni autentiche, vero sprone a interrogarci sulla parzialità delle nostre visioni, relazioni in cui ci alleniamo a riconoscere l’altro e in cui sviluppiamo la nostra capacità di ascolto.

PAOLA ZINI 14 ott 2021 08:03