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di RAFFAELLA FALCO 24 giu 2022 09:38

Quello che dobbiamo

Abbiamo appena vissuto la solennità del Corpus Domini, una festa per celebrare un corpo che duemila anni fa è nato, ha percorso strade, incontrato persone, provato emozioni, fame, sonno, piacere, limite, dolore, è morto, risorto e salito al cielo. Ma la storia non finisce qui, perché Gesù di Nazareth, che, secondo l’autore della lettera agli Ebrei, avrebbe parlato così al Padre: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato”, ha vissuto il suo corpo come dono e, come tale, ha trovato il modo di ridonarlo a noi, suoi fratelli. Avrebbe potuto lasciarci in eredità oggetti, scritti, magari una ciocca dei suoi capelli o un lembo della sua veste… che poi ci saremmo contesi e − la storia insegna − avremmo finito per distruggere. E invece, donando ai suoi apostoli un pezzo di pane e un sorso di vino, ha parlato di corpo da mangiare (addirittura da masticare!) e sangue da bere, il suo, così simile al nostro. Un Sacramento che è insieme nutrimento e strada. È cibo di cui il nostro corpo ha tanto bisogno, quando anche noi, come Gesù, proviamo a balbettare, con fede, le sue stesse parole: “Tu non vuoi da me sacrifici, offerte, devozioni… Un corpo, invece, mi hai preparato”. Se crediamo che la nostra vita, anche quella di fede, si gioca a partire da questo “luogo” (il nostro corpo che non abbiamo scelto, ma ricevuto), il nostro primo compito è quello della gratitudine.

Grazie, perché ci sono e sono così! Mi è andata “bene” (secondo i criteri comuni) e sono bella, sana e forte? Grazie, perché ho ricevuto questo corpo attraverso il quale e nel quale imparo ad amare. Mi è andata “male” e sono brutta, malconcia e malata? Grazie ugualmente, perché se fossi diversa, non sarei “io”, che, facendo fatica ad accettarmi, nel dirti grazie sento su di me occhi che accarezzano e mani che curano e così imparo ad amare. Mangiare Gesù ci dà la forza per fare quello che ha fatto Lui. Di più: mentre mangiamo Lui o semplicemente guardiamo quel pezzo di pane, sappiamo esattamente quello che dobbiamo fare noi: diventare pane da offrire, perché altri mangino di noi, ossia amare fino a morire. Mi hanno sempre colpito, tanto da stamparsi dentro di me con la potenza che le immagini possono avere, le parole di S. Ignazio di Antiochia, durante il viaggio verso Roma, dove sarà ucciso con l’accusa di essere cristiano: “Sono frumento di Dio, e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo”. Vivere così la nostra corporeità, come una sempre aggiornata mappa da leggere per orientarci nel cammino verso la Meta, ci libera da pesanti zavorre e ci riconcilia finalmente con noi, con Dio e con gli altri.

RAFFAELLA FALCO 24 giu 2022 09:38

3 Commenti

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gabriele

È in atto un attacco in grande stile all’Eucaristia, svalutata da una Liturgia sbrigativa, da Messe celebrate all’aperto dappertutto (mancano forse solo i luna-Park), celebranti che al momento della Consacrazione tollerano e tacciono di tanta gente in piedi anziché in ginocchio, “fedeli” che si mettono in fila a fare la Comunione senza essersi confessati da anni e con tanti peccati mortali che vanno perché “si sentono”. Dopo aver ricevuto la Comunione gente che torna al proprio posto e si siede…È venuto a mancare il Culto dell’Eucaristia, il Clero sembra indifferente di fronte a tanto sfascio…povero Signore!

Franco Peci

Penso che nostro signore Gesù Cristo sia molto contento di venire celebrato in ogni luogo della vita vera, quindi, perché no, anche in un luna.park. Forse sbaglierò, ma ho sempre fatto molta fatica ad immaginare quel "Fate questo in memoria di me..." come un mero atto di culto che richiede solo un adeguarsi ad una rigida e astratta etichetta, Come mi sembra sottolinei bene suor Raffaella quel "Fate questo in memoria di me..." sollecita proprio che la messa continui nella nostra realtà quotidiana, che quel corpo d'amore venga davvero celebrato e vissuto nei corpi, a volte miseri, delle nostre vite.

gabriele

Celebriamo dappertutto? Eh già: uno ragiona: “Non mi sono inginocchiato nel parco perché mi sarei sporcato i pantaloni di verde, e adesso chi me lo fa fare di inginocchiarmi in Chiesa alla Consacrazione? Solo perché qui ci sono i banchi? Un celebrante ragiona: “Ho celebrato Messa in piscina con la stola sulla canottiera, adesso chi me lo fa fare di celebrare coi paramenti? Solo perché qui sono in Chiesa”? Signor Peci, il diavolo è furbo: gli sprovveduti li prende un po’ alla volta, e ne sta prendendo tanti. E lasci perdere gli sproloqui che non servono a niente: la Liturgia, col rispetto per il Sacro, non è, non sarà mai rigida e astratta etichetta, ma la giusta Venerazione e Culto dovuti al Nostro Dio. A meno che un fedele non capisca nemmeno a cosa serve la Liturgia, il che non mi sorprenderebbe affatto.