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di GUIDO COSTA 25 feb 2016 00:00

Reversibilità e futuro

L’accesissimo dibattito sull’ipotesi di riforma delle pensioni di reversibilità è già evaporato. Eppure le intenzioni del Governo sulle pensioni di reversibilità sono la spia di un problema serio, molto serio. Purtroppo temi come questi in casa nostra finiscono sempre per essere affrontati nel peggiore dei modi: slogan, invettive e allarmismo.

L’accesissimo dibattito sull’ipotesi di riforma delle pensioni di reversibilità è già evaporato. Eppure le intenzioni del Governo sulle pensioni di reversibilità sono la spia di un problema serio, molto serio. Purtroppo temi come questi in casa nostra finiscono sempre per essere affrontati nel peggiore dei modi: slogan, invettive e allarmismo. In realtà la proposta di legge delega del Governo lascia esplicitamente intatti tutti i trattamenti in essere mentre per il futuro si propone, a proposito di reversibilità, il superamento di sovrapposizioni e situazioni anomale. Il futuro, appunto. L’equilibrio del sistema di previdenza e assistenza non è un’emergenza dell’oggi, forse nemmeno di domani – mi ha detto un amico che ha la responsabilità di un Patronato, sempre più la prima linea, insieme ai servizi sociali degli enti locali, dei bisogni e delle ansie delle persone – ma è oggi che bisogna intervenire per garantire la tenuta del sistema.

Possibile – e cito i dati presenti nel documento di Governo presentato in Parlamento – che tutto dipenda dai 25 miliardi di euro delle pensioni di reversibilità (sul totale di 272 miliardi della spesa pensionistica) che l’Inps ha erogato nel 2015 ai 3 milioni di italiani (donne soprattutto) che ne hanno diritto? Ovviamente no. Il nodo è però l’inserimento di un principio, l’Isee, che consenta di riordinare una partita complessa che è a cavallo tra il previdenziale e l’assistenziale. Per quanto necessario e urgente, agire per correttivi progressivi non sarà sufficiente.

La fragile base su cui poggia il sistema si chiama demografia. L’Italia invecchia, non c’è ricambio generazionale, i nuovi nati sono sempre meno. Il demografo Giancarlo Blangiardo spiega che nel momento in cui la popolazione invecchia, l’economia ne risente perché l’anziano fa manutenzione, non fa investimento, conserva e rinuncia ai consumi. La boccata d’ossigeno, in termini demografici e contributivi, costituita dall’immigrazione durerà vent’anni, non di più. Poi anche loro avranno bisogno di pensioni e di welfare. L’urgenza vera sono dunque le politiche a favore della natalità. Le indagini statistiche dicono che le donne vorrebbero avere più di due figli (2,19) ma si fermano ad uno (1,3). Con tutto il rispetto per la battaglia valoriale che la sostiene, forse più che difendere la famiglia bisognerebbe che cominciassimo a pretendere servizi, aiuti, considerazione sociale.
GUIDO COSTA 25 feb 2016 00:00