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di LUIGI DOMENIGHINI 21 feb 2019 16:21

Schiavi di internet

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L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto una nuova malattia: la “dipendenza da videogiochi” e dai social media in genere

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto una nuova malattia: la “dipendenza da videogiochi” e dai social media in genere. Questa patologia è denominata gaming disorder (disturbo da gioco virtuale) e hikikomori (dal giapponese stare in disparte, ritirarsi) sono chiamati coloro che ne sono affetti. In Italia sarebbero 128mila i giovani, dai 15 ai 25 anni, schiavi di videogiochi, internet e social, che si isolano nella loro stanza, addirittura non vanno a scuola o a lavorare e dimenticano perfino di mangiare e di dormire per non interrompere la connessione o il gioco che li affascina. D’altronde le possibilità offerte dalla rete sono infinite e i videogiochi si presentano semplici, intuitivi ed accattivanti; si aggiornano periodicamente; sono quasi tutti gratuiti e, spesso, penalizzano chi lascia la partita. Preso atto della situazione, dovremmo tutti chiederci dove sono gli educatori? Che fine hanno fatto il padre e la madre di questi ragazzi? Come hanno permesso il nascere e il radicarsi di una situazione davvero patologica? Penso che la loro azione preventiva avrebbe dovuto impedire al virus della malattia di insediarsi nella vita dei figli, semplicemente fissando le regole chiare circa le età di accesso e il tempo da dedicare ai social o al gioco virtuale. Questo è prioritario, ma non basta: sia per i giochi che per internet, smartphone, play-station, ecc. occorre l’azione educativa costante fatta di accompagnamento, dialogo, condivisione di idee circa il loro uso e le responsabilità connesse. E infine non può mancare il “giusto controllo”. Non si tratta di sbirciare durante la notte nel telefonino del figlio o nel computer, si tratta di impedire l’utilizzo di giochi inopportuni, violenti o volgari; di prevenire l’uso improprio dei mezzi di comunicazione e tutto questo deve essere fatto apertamente senza nascondere nulla, informando i figli e ponendolo come condizione preliminare al loro uso. I genitori, quindi, possono vedere in che gioco sono impegnati, che cosa scrivono nei messaggini, in Facebook, in Whatsapp, nelle chat, e-mail, ecc.; che cosa cercano, vedono o guardano in rete; che cosa postano o come interagiscono quando operano con il pc. Conosco l’obiezione: “Ma troveranno presto mille modi per eludere la sorveglianza!”. Certo, sì, ma non ci sarà nessun eccesso nei tempi d’impiego e non mancherà la consapevo-lezza di un atto non conforme al loro bene, che è di buon aiuto un comportamento corretto.

LUIGI DOMENIGHINI 21 feb 2019 16:21