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13 ago 2015 00:00

Se anche la Cina entra in crisi...

Svalutato lo yuan, la moneta cinese. La manovra è minima - la svalutazione dello yuan rispetto al dollaro è dieci volte minore di quanto è accaduto nell’ultimo anno a euro e yen - eppure significativa,

La Cina ha tirato il freno. È bastata l’improvvisa decisione della People’s Bank of China, l’11 agosto, di svalutare lo yuan di quasi il 2% - cui ha fatto seguito, ieri (12 agosto), un’ulteriore svalutazione dell’1,62% - e il colosso asiatico mostra di non essere più destinato a un’illimitata crescita economica, come era apparso soprattutto dal 2008 in poi, quando a fronte di una crisi che aveva colpito Vecchio Continente e Usa, la Cina aveva continuato a registrare tassi di crescita di oltre il 7% annuo.

Ora, invece, emergono le crescenti difficoltà, e per scongiurare il pericolo di entrare in una fase di recessione, dopo che a luglio le esportazioni sono calate dell’8,3%, Pechino ha deciso di uscire allo scoperto con una manovra - seppure definita “aggiustamento una tantum” per riequilibrare il tasso di cambio con le stime di mercato - che vuole innanzitutto ridare fiato all’export. Una svalutazione competitiva, insomma, chiamata da alcuni analisti “guerra delle valute”, per evitare quel raffreddamento dell’economia che renderebbe insostenibile l’enorme debito del Paese asiatico, pari al 282% del Pil.

La manovra è minima - la svalutazione dello yuan rispetto al dollaro è dieci volte minore di quanto è accaduto nell’ultimo anno a euro e yen - eppure significativa, anche perché fa seguito a un altro segnale di crisi del “sistema cinese”, il crollo della Borsa di Shanghai avvenuto non più di qualche settimana fa. E non è un caso che la decisione della “Banca del Popolo” abbia acquistato le prime pagine dei giornali e fatto entrare in fibrillazione i listini delle borse di tutto il mondo, oscurando l’altra notizia di economia internazionale, ovvero l’accordo della Grecia con i creditori per un nuovo pacchetto di aiuti.

D’altronde, da sola la Cina registra un Pil di 9.800 miliardi di dollari e vale il 15% dell’economia mondiale. Rendere i suoi prodotti (ancora) più competitivi sui mercati mondiali porterebbe sì a un rilancio dell’export, ma anche a esportare deflazione, vanificando gli sforzi europei per la ripresa dell’indice dei prezzi. Insomma, complice anche la globalizzazione degli ultimi decenni, la Cina si è affermata sullo scacchiere economico e finanziario mondiale come un colosso. Ma ora rischia di mostrare i suoi piedi d’argilla, trascinando con sé in una pericolosa caduta anche quanti, dalla crisi, stanno faticosamente tentando di rialzarsi.


13 ago 2015 00:00