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di GUIDO COSTA 29 set 2016 08:59

Stefana. Le radici della crisi

Sono passati quasi due anni da quando la Stefana di Nave si è affidata al Tribunale per chiudere la sua storia industriale...

Sono passati quasi due anni da quando la Stefana di Nave si è affidata al Tribunale per chiudere la sua storia industriale. Un epilogo con radici lontane che la “grande crisi” ha semplicemente messo a nudo. Alla fine della Stefana hanno concorso attori e fattori diversi: la proprietà che ad un certo punto ha smesso di fare gli investimenti necessari a dare un futuro all’impresa; un sindacato che troppo a lungo ha chiesto (e ottenuto) più soldi per i lavoratori senza curarsi delle prospettive del gruppo siderurgico; un sistema di ammortizzatori sociali (oggi fortunatamente superato) che ha cristallizzato per anni situazioni industrialmente insostenibili diventando un paravento per imprenditori che non volevano più fare gli imprenditori, aprendo le porte ad una colpevole mentalità assistenziale che alla lunga ha demotivato anche i lavoratori che avevano come unico desiderio quello di poter lavorare. Con queste eredità sono andate a bando l’acciaieria di Ospitaletto comprata da Esselunga per utilizzare l’area come polo logistico, il laminatoio di via Brescia e l’acciaieria di Montirone acquisite rispettivamente da Feralpi e Alfa Acciai. Continua invece l’agonia dello stabilimento Stefana di via Bologna a Nave. Sembra quasi che neanche a regalarlo – il quinto bando per la cessione del ramo d’azienda è andato deserto nonostante la rinuncia del liquidatore a fissare una base d’asta! – ci sia un industriale disposto a mettersi in campo per farlo ripartire: impianti vecchi, produzione di nicchia, lavoratori da troppo tempo lontani dal lavoro. Nel caso specifico un ruolo non secondario nella gestione stile anni Settanta/Ottanta di tutta la vicenda ce l’hanno quegli uffici della Provincia che hanno fatto da sponda ad un prontuario sindacale ostinatamente impermeabile alla necessità di puntare decisamente su politiche attive per la ricollocazione dei lavoratori piuttosto che sulla difesa di una trincea scavata davanti al niente. Cosa succederà adesso? 

Il Commissario giudiziale si deciderà a concedere ai lavoratori che lo vorranno la mobilità (che significa assicurare a chi ne fa richiesta un percorso di accompagnamento che punta alla rioccupazione anche attraverso sgravi fiscali significativi per le aziende che assumono) o continuerà a dare retta a chi in nome di una rappresentanza forte di numeri ma povera di idee si ostina ad alimentare percorsi senza sbocchi?

GUIDO COSTA 29 set 2016 08:59