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di MASSIMO VENTURELLI 24 lug 2015 00:00

Una sentenza da cui ripartire

Il pronunciamento della Corte d'assise d'appello di Milano sulla strage di Piazza Loggia occasione per riflettere sulle ferite della città

I familiari delle otto vittime, chi ancora resta dei 100 feriti, chi in questi 41 anni segnato da lunga serie di processi (nove per l'esattezza) non ha mai smesso di chiedere a gran voce la verità, ma anche l'intera città di Brescia finalmente sa chi furono i responsabili della strage di piazza Loggia del 28 maggio 1974.

Finalmente si conoscono nomi e responsabilità di chi ideò quella che sino a ieri, mercoledì 22 luglio 2015, è stata una delle pagine buie della storia repubblicana, sicuramente la più tragica fra quelle scritte a Brescia.

Ai familiari delle vittime e all'intera città, non bastava, non poteva bastare quella che negli anni è stata definita la "verità storica", ossia il clima e gli ambienti in cui originò e maturò sino a prendere forma l'attentato che, in quella piovosa mattina del maggio di 41 anni fa, aprì uno squarcio di cui sono ancora visibili i segni fisici e non solo.

Da tempo la Giustizia aveva detto una parola definitiva sulla verità storica. La lunga stagione processuale aveva (almeno) appurato che la strage era stata progettata in quella zona d'ombra i cui negli anni del terrore potevano incontrarsi l'estremismo nero e una parte di servizi segreti deviati.

"La verità storica è importante - aveva affermato Alfredo Bazoli, oggi deputato della Repubblica, ma anche figlio di una delle vittime di piazza Loggia, lo scorso anno davanti agli studenti di una scuola bresciana - . A 40 anni di distanza da quell'esplosione cresce sempre di più anche il bisogno di conoscere nomi e cognomi di chi ha pensato e voluto una strage che ha segnato indelebilmente affetti privati e familiari e che ha impresso alla città una ferita di cui resterà sempre visibile il segno".

La giustizia finalmente è giunta anche a questo livello, ha scritto nero su bianco i nomi delle menti perverse che elaborano quel tragico disegno. Il traguardo è stato raggiunto.

A Brescia, però, nessuno fa festa. Certo c'è la legittima soddisfazione di chi, come Manlio Milano, presidente dell'associazione dei familiari delle vittime, vede riconosciuta anni di duro impegno, di facce sbattute contro porte e muri di gomma, c'è quella delle istituzioni che quattro decenni si sono impegnate perché il ricordo di quell'esplosione non sbiadisse sempre di più sino a scomparire definitivamente dalla memoria del Paese, come capitato a tante altre pagine tragiche.

Per anni, in occasione delle celebrazioni indette per ricordare la strage, è stato detto che sino a quanto non si fosse giunti a un punto definitivo sulle responsabilità non solo politiche ma anche materiali dell'attentato di piazza Loggia, la città avrebbe dovuto continuare a curare una ferita che "spurgava" sangue cattivo, infetto. E così è stato per anni, con contrapposizioni, accuse reciproche, polemiche mai sopite e ogni volta più dolorose.

Da ieri al film della strage è stata posta la parola fine (o almeno così dovrebbe essere, anche se l'Italia e il Paese dei ricorsi e contro ricorsi).
Difficile pensare che la sentenza dei giudici milanesi possa rappresentare l'epilogo per questo tragico capitolo della storia pubblica della città e quella privata di tante persone che il 28 maggio 1974 in piazza Loggia hanno perso qualcuno o qualcosa.

Le condanne comminate a persone che hanno nome e volto devono rappresentare invece un punto di ripartenza, l'avvio di un cammino di riconciliazione effettivo nella e per la città.

Per chi crede non può restare indifferente che il pronunciamento della corte d'assise d'appello sia giunta a pochi mesi dall'anno santo che Papa Francesco ha voluto dedicare alla misericordia, al perdono.
Quella parola fine, scritta dalla giustizia, può essere letta e rilanciata anche dalla Chiesa per un percorso, forse faticoso, ma non per questo meno necessario, che aiuti Brescia e i bresciani a credere che quella della riconciliazione sia via praticabile non solo per le ferite aperte da quella bomba, ma anche per le tante altre, meno evidenti ma altrettanto dolorose, che in questi anni hanno lacerato la città e la sua gente e che ancora continuano a sanguinare.
MASSIMO VENTURELLI 24 lug 2015 00:00