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di MASSIMO VENTURELLI 14 apr 2016 00:00

Votare è anche una questione educativa

Alcune ragioni per non cedere alla tentazione di disertare le urne

Sessantaquattro volte in poco più di 40 anni (dal conto sono esclusi i referendum confermativi) sono una bella fatica. Legittimo che qualche volta prevalga la fatica e che qualcuno possa anche scegliere di “saltare un turno”. Questa, in estrema sintesi, è la storia del rapporto sempre più distaccato tra gli italiani e l’istituto referendario, passato negli ultimi anni attraverso una serie di bocciature (mancato raggiungimento del quorum) che dovrebbe indurre a qualche riflessione.

Forse ha ragione chi sostiene che il ripetuto ricorso a questo strumento di democrazia diretta ha finito con lo sminuire la sua importanza. Insomma, “il troppo stroppia”, come si dice. Qualcun altro, con altrettante ragioni, sostiene che la causa di questo progressivo “raffreddamento” degli italiani nei confronti del voto referendario sia da attribursi allo stile da “Azzeccagarbugli” con sui sempre più spesso vengono formulati i quesiti. La non immediata comprensione sarebbe un forte deterrente alla partecipazione…

Sono, quelli elencati, alcuni dei rischi a cui è esposta anche la consultazione referendaria di domenica 17. A ben guardare, però, quello del progressivo allontanamento degli italiani dalle urne è un problema che riguarda ogni tipo di consultazione elettorale. Il non voto indice in modo sempre più pensate anche sulle elezioni politiche e su quelle amministrative, con cui comunità grandi e piccole scelgono il loro sindaco.

Confesso che quella di disertare le urne è stata una tentazione che mi ha accarezzato sino a qualche giorno fa. Non andare a votare, mi dicevo, sarebbe stato un segnale preciso lanciato alla politica perché finalmente si faccia carico delle responsabilità che le sono assegnate e per le quali i nostri rappresentanti sono ancora lautamente ricompensati.

Nelle ultime ore, però, è intervenuto qualcosa che mi fatto cambiare idea. Quello del 17 aprile sarà per mia figlia, da poco diciottenne, e per tanti suoi coetanei il primo voto. Sarà l’entusiasmo della “prima volta”, sarà una carica di interesse e di partecipazione che spesso non risconosciamo ai giovani: sta di fatto che da giorni chiede, legge, ascolta, si informa, mette in discussione... Manifesta, insomma quell’atteggiamento che dovrebbe caratterizzare tutte le persone chi si accingono ad esercitare il diritto di voto, forse uno dei più importanti in un Paese che si dice democratico.

Dinanzi a tanto entusiasmo devo confessare che mi sono sentito un po’ in colpa. Si parla tanto di presenze educative importanti e significative e poi alla prima occasione vera, in cui fare capire alle giovani generazioni cosa sia la democrazia e il dovere della partecipazione, siamo presi dalla tentazione di voltare la testa da un’altra parte dinanzi all’esercizio del diritto di voto, quello su cui si fonda la nostra democrazia, il più educativo di tutti perché alla base della convivenza civile... Allora, davanti a queste considerazioni, non c’è elaborazione complicata del quesito o inflazione dell’istituto referendario che tenga: andare votare diventa un dovere: non c'è in ballo solo la vittoria del sì o del no (nel caso del referendum) o la scelta di un sindaco. C'è in ballo anche la necessità di far capire alle giovani generazioni che il diritto di voto, il diritto di far sentire la propria voce, continua a essere tanto prezioso quanto irrinunciabile.
MASSIMO VENTURELLI 14 apr 2016 00:00