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Brescia
di ELISA MENSI 19 feb 2015 00:00

Oltre l'approccio emergenziale

Anci, Caritas italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes e il servizio centrale dello Sprar (Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati), in collaborazione con l’Unhcr hanno elaborato il Rapporto 2014 sulla protezione internazionale in Italia

A volte i numeri sono importanti. Possono aiutare a rimodulare alcune riflessioni basate su dati sbagliati e su informazioni inesatte che spesso circolano nei dibattiti. In Italia nel 2013 sono arrivati circa 43mila migranti (il 325% in più dell’anno precedente); 13mila i minori non accompagnati (di 3.500 si sono, però, perse le tracce). Le regioni italiane con il maggior numero di sbarchi sono la Sicilia (37mila), la Puglia (mille) e la Calabria (3.900). I maggiori Paesi di provenienza sono la Siria, l’Eritrea e la Somalia: molti non richiedono asilo perché fuggono direttamente verso il nord Europa.

Il lavoro, presentato a Brescia, è basato sui dati del 2013 e del primo semestre 2014. Fa il punto su come si sviluppa l’accoglienza integrata in Italia e contiene delle raccomandazioni formulate dagli enti promotori, tenendo conto delle diverse specificità: gli enti promotori cercano di contribuire alla realizzazione di un “sistema unico di accoglienza e protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati” con standard condivisi.

Il Rapporto è diviso in quattro capitoli dedicati al tema dell’asilo tra Stato e Terzo settore, al fenomeno dei richiedenti protezione internazionale in Italia e al sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (lo Sprar, ma anche le altre forme di accoglienza), ai soggetti vulnerabili (apolidi, vittime di tratta e minori) e alle migrazioni forzate a livello internazionale. Maria Silvia Olivieri, rappresentante del sistema centrale dello Sprar, ha illustrato l’importanza di un approccio al tema orientato alla tutela dei diritti umani. La ricerca di canali sicuri per l’accesso al nord del mondo si contrappone all’esigenza di controllare le frontiere con politiche e interventi che non si dimostrano sempre armonici. L’impegno non può limitarsi all’emotività legata ai fatti di cronaca. L’approccio emergenziale all’accoglienza ha minato le basi della gestione perché non permetterà mai di superare la dicotomia tra prima e seconda accoglienza. Un altro punto sottolineato è legato al “dopo”. Per chi esce dal sistema di protezione non sono previste adeguate misure di accompagnamento per l’inserimento sociale e lavorativo dei rifugiati: le misure di accoglienza sono, infatti, destinate a fallire finché non ci saranno politiche di supporto.
ELISA MENSI 19 feb 2015 00:00