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Brescia
di ROMANO GUATTA CALDINI 22 mag 2020 07:44

Il lockdown dei richiedenti asilo

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La quarantena in sicurezza degli 84 ospiti della Cooperativa Kemay, distribuiti nel Bresciano, fra lezioni online e prevenzione sanitaria. Parla il presidente della cooperativa Stefano Savoldi

L’emergenza sanitaria ha inevitabilmente relegato nel limbo un intero mondo fatto di persone e bisogni reali, di progettualità e cooperazione, come quello dell’accoglienza. Anche la Cooperativa Kemay, dal 2015 in prima fila con Caritas diocesana sul fronte dell’integrazione, per contrastare la diffusione del coronavirus ha chiuso la propria sede e si è organizzata per poter proseguire il lavoro di ufficio da casa e per garantire gli accompagnamenti necessari alle 84 persone fra richiedenti asilo e rifugiati ospiti negli appartamenti di Brescia e provincia (Fondazione Opera Caritas San Martino: 84 accoglienze su 89 posti messi a disposizione col bando ndr). “L’esperienza di accompagnamento sanitario − ha raccontato Stefano Savoldi, presidente della Cooperativa Kemay − non è stata solo un preoccuparci di loro, ma uno scambio in cui erano i richiedenti accolti a chiamarci per sapere come stavamo noi. Ragazzi ormai fuori dall’accoglienza che ci hanno chiamato da altre Regioni o altri Paesi europei per chiedere come stavamo, raccomandandoci di tenere duro e non mollare”. Per due ragazzi richiedenti asilo è stata l’opportunità di svolgere un lavoro retribuito nel servizio di accoglienza dei senza fissa dimora al Rifugio Caritas, dove hanno confermato le loro attitudini: da “utenti” ad operatori dediti al servizio e accompagnamento di chi ha più bisogno di loro.

Savoldi, come è stata affrontata dalla Cooperativa Kemay l’emergenza sanitaria?

La pandemia, rispetto all’accoglienza dei richiedenti asilo, è stato un elemento che ha aggravato la situazione. Allo stesso tempo, le norme restrittive hanno influito positivamente sulla creatività dei nostri operatori come di tutte le comunità accoglienti, rispetto a come proseguire il percorso di accompagnamento. Come altrove, venendo meno il contatto fisico, sono stati incrementati i servizi digitali. Laddove era assente il segnale wifi abbiamo proceduto a risolvere il problema, fornendo ai bambini dei pc per permettere loro di seguire le lezioni. Riguardo agli adulti, sebbene non previsto dal bando messo a punto dalla Prefettura, sono stati attivati dei corsi di alfabetizzazione online. Nel nostro portale abbiamo caricato anche delle videolezioni per poter eseguire corretti esercizi fisici anche a casa. Quotidianamente, attraverso le video chiamate, è stato garantito il monitoraggio dello stato di salute dei richiedenti asilo, con continui richiami a quelle che erano le norme di sicurezza da rispettare. Non potendo incontrarli in gruppo è stato attivato un protocollo informativo sulle regole igieniche.

Fra le persone che accompagnate nel percorso di integrazione avete registrato casi di contagio?

Per fortuna no. Tutti hanno rispettato la quarantena. Chi usciva lo faceva solo per motivi lavorativi. Noi pensavamo alla consegna della spesa fuori dalla porta di casa. Non avevano motivo di uscire. Si sono attenuti scrupolosamente a tutte le norme indicate. In ogni caso c’era il nostro medico per eventuali malori e, grazie a una donazione straordinaria, i ragazzi erano tutti dotati di mascherine, guanti e materiale per la sanificazione.

Sul fronte dei corridoi umanitari quali sono le prospettive considerate le attuali misure restrittive?

Gli ospiti, quelli legati ai corridoi umanitari, avevano udienza in Commissione territoriale proprio nel periodo in cui è scattata l’allerta pandemia. La verifica per lo status giuridico di rifugiato, per tutti, è stata spostata a data da destinarsi. Per loro il percorso di integrazione si è bloccato in modo radicale rispetto agli altri. I tirocini sono stati ovviamente sospesi. Le comunità, invece, hanno continuato a seguire, pur se a distanza, le persone accolte.

La pandemia ha avuto forti ripercussioni sul percorso di integrazione di molti…

Sicuramente. Adesso dovremo riprendere i contatti con le diverse realtà, contatti per altro già ben avviati, per capire se e in che tempi si potrà ripartire con le diverse progettualità.

Il ministro delle politiche agricole Bellanova difende la sua scelta di regolarizzare i clandestini con permessi di soggiorno per motivi di lavoro. Nel Bresciano, se pensiamo all’agricoltura, soprattutto alla vendemmia, ci sono delle richieste?

Quello dell’agricoltura è uno dei settori che maggiormente avanza richieste di forza lavoro. Spesso, sul nostro territorio, molti percorsi di autonomia sono stati avviati grazie alle attività agricole. Al di là di quella che sarà la richiesta, la vera domanda da porsi è come, queste persone, siano diventate clandestine. Con l’ultima misura si è andati a sanare i danni fatti in passato. Guardiamo alla Bossi-Fini, al più recente Decreto sicurezza. Anche noi avevamo tanti ragazzi che, pur avendo una casa e un lavoro, vedendosi cancellato il permesso per motivi umanitari, sono diventati irregolari. Tutto questo è stato voluto, pianificato e vagliato. L’emergenza sanitaria, inevitabilmente, con tutte le ripercussioni del caso, è andata a ingrossare le fila dei cosiddetti invisibili.

ROMANO GUATTA CALDINI 22 mag 2020 07:44