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di SERGIO PASSERI 11 giu 2025 15:27

Preti di fronte al cambiamento

Sabato 14 giugno tre giovani verranno ordinati preti per essere pastori e custodi della Chiesa di Dio, per usare le parole con cui Paolo saluta i presbiteri di Efeso (cfr. At 20,28). Iniziano il loro ministero in tempi che non possiamo definire facili. Ma del resto, ogni generazione sacerdotale si è dovuta confrontare – insieme alla Chiesa tutta – con le prove del proprio tempo: chi le persecuzioni, le eresie e gli scismi; chi le guerre, le crisi economiche, i disordini morali e sociali. Il nostro tempo ci mette di fronte alla ‘fatica del cambiamento’. Si ha la percezione che l’agire pastorale debba essere ripensato e rimodulato, non solo aggiustando alcuni particolari, ma nella sua interezza.  Il nostro tempo è contrassegnato inoltre da movimenti sempre più repentini. Ogni giorno ne facciamo esperienza quando, guardando il nostro cellulare o il nostro computer, vediamo che ci vien chiesto incessantemente di ‘aggiornare’ l’una o l’altra applicazione. Sorge così l’impressione d’essere sempre un po’ superati.

L’inizio del ministero di don Andrea, don Nicola e don Mattia dovrà fare i conti con questo mondo veloce e complesso. Le fatiche del cambiamento vanno prese sul serio. Ci può essere d’aiuto tuttavia confrontare e condividere i nostri travagli (come presbiteri) con quelli di tante persone che accettano il peso della fedeltà alla famiglia, le condizioni di lavoro precarie e la percezione di far parte di una Chiesa che arranca.  Per certi aspetti la fatica che ci accomuna è la reale (o presunta) insignificanza del nostro essere credenti nell’attuale quadro sociale e culturale. Un tempo l’incidenza e la rilevanza erano molto più significative. Oggi siamo chiamati ad ‘essere cristiani in un mondo che non lo è più’. Anche se in passato forse ci eravamo illusi di poterlo credere, oggi non possiamo più dare per scontato il cattolicesimo del nostro popolo. Non vale neppure la convinzione secondo cui “la Chiesa ha passato tante crisi, passerà anche questa”; come scrive Josef de Kesel, il nord Africa tra il III e il V secolo aveva un fiorente cristianesimo, poi è scomparso quasi totalmente.  Alla sensazione di irrilevanza si aggiunge per noi presbiteri la fatica a comporre e integrare, in modo armonico ed evangelico, identità e ruolo. L’assommarsi degli incarichi, la frammentazione del vivere, lo spaesamento e la sensazione di essere un po’ come forestieri a casa propria, rendono tutto più complesso. Che cosa fare? Per usare un neologismo di papa Francesco, non dobbiamo lasciarci prendere dalla tentazione dell’immediatismo. Più che cercare i risultati istantanei penso sia più importante che ci si chieda se stiamo attivando i processi giusti, capaci di generare un cambiamento effettivo e coerente con ciò che Dio benedice.

Da quale parte iniziare? Il nostro vescovo Pierantonio in uno degli interventi fatti in questi anni ai seminaristi, e più volte ripreso da loro, ci ha parlato della “cura dello stile”. Lo stile è il “modo con cui noi ci presentiamo”. Senza questa cura il primo impatto con le persone potrebbe essere anche l’ultimo. Non dobbiamo dare per scontato che la gente ci faccia sconti sulla nostra umanità. La nostra credibilità ci aiuterà a portare il peso del cambiamento. Di fronte ai suoi discepoli, frastornati dagli avvenimenti, Gesù indica uno stile: “Siate miti e umili di cuore” (Mt 11,29). Impressiona quante persone abbiano accolto e fatto risuonare le prime parole di papa Leone XIV: “Siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto, senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti!”. Sono le stesse parole con cui vogliamo incoraggiare i nostri cari amici neopresbiteri.

SERGIO PASSERI 11 giu 2025 15:27

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