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di JOSE' ZANARDINI 26 set 2019 11:00

Sinodo: le attese e le sfide

Si devono rivalorizzare i miti ancestrali dei popoli indigeni e afro americani; si devono cercare in essi “i semi del Verbo”, i messaggi di Dio nelle diverse culture. Dal punto di vista pastorale ci si aspetta un nuovo linguaggio liturgico, abbandonando quella terminologia filosofica e teologica occidentale fatta di parole rimbombanti e prive di significato per i popoli della selva

Sono un missionario bresciano da più di 40 anni nel cuore dell’America Latina, in una zona tropicale dei grandi fiumi. Ho vissuto vari anni nei villaggi indigeni sulla riva del grande fiume Paraguay. Ho imparato a bere l’acqua del fiume, a vivere in una capanna fatta di pali di palma, senza intonaco, senza finestre e con pavimento di terra; ho imparato che si può vivere felici anche senza luce elettrica, senza comodità, esposti alla pura natura che è una madre saggia e attenta ai suoi figli. Quando il Papa lo scorso anno ha lanciato l’idea del Sinodo Panamazzonico, mi sono riempito di gioia e di soddisfazione. Ne ho parlato con gli indios spiegando loro l’alto significato di questo avvenimento. È un evento non solo ecclesiale ma che coinvolge tutta la vita del pianeta: persone, fauna, flora, acqua, aria, terra e l’intero universo. Che cosa aspettiamo dal Sinodo? Che riconosca e accetti l’identità e il grido di aiuto lanciati dall’intero bioma amazzonico. L’acqua con i suoi 1200 fiumi costituisce il 20% dell’acqua dolce del pianeta, la foresta il 40% della biodiversità del mondo. Ci sono 390 culture e lingue indigene, afroamericani, popolazioni meticce e campesine. Tutti sono in pericolo dal punto di vista materiale, sociale, culturale e spirituale. Bisogna prendere coscienza del problema con una buona informazione non allarmistica ma realistica.

Bisogna diffondere a tutti i governi del mondo e alle chiese di tutti i continenti e di tutte le confessioni religiose la necessità di azioni urgenti per salvare l’Amazzonia: è un simbolo e una bandiera che rappresenta non solo se stessa ma tutto il pianeta, perché quello che sta succedendo in Amazzonia avviene anche negli altri continenti. L’aumento dell’emissione di anidride carbonica, che genera l’aumento di temperatura e il cambio climatico, è un processo che deve essere stroncato prima che sia troppo tardi e si entri in un periodo di non ritorno con un processo degenerativo del pianeta non più controllabile. A livello ecclesiale mi aspetto che si riconosca e valorizzi la spiritualità indigena, che è una spiritualità profonda, integrata con la natura e che tende al cosiddetto “Buon Vivere”: armonia con se stessi, con il proprio gruppo culturale, con le altre culture, con la natura in tutte le sue espressioni e quindi con la sfera dell’intangibile e con le svariate forme di spiritualità. Si devono rivalorizzare i miti ancestrali dei popoli indigeni e afro americani; cercare in essi “i semi del Verbo”, i messaggi di Dio nelle diverse culture. Non è difficile identificare tra i miti, specialmente quelli di origine, la presenza di Dio così come è stato presente nel libro della Genesi per il popolo ebreo. Non possiamo non pensare che Dio abbia parlato a tutti i popoli in tutti i tempi e in diverse forme. Dal punto di vista pastorale ci si aspetta un nuovo linguaggio liturgico, abbandonando quella terminologia filosofica e teologica occidentale fatta di parole rimbombanti e prive di significato per i popoli della selva. C’è da rifare il messale e attuare una scelta più accurata delle letture bibliche della Messa. La stessa formulazione del Gloria, del Credo, pur conservando il significato e contenuto, devono assumere un’altra espressione verbale. Ci si aspetta che si stabiliscano nuovi ministeri con volto amazzonico: per esempio donne sposate o nubili come diaconesse, uomini sposati come sacerdoti e altri ministeri a giudizio del Vescovo. Si deve, inoltre, rivedere urgentemente la formazione dei religiosi/e e dei sacerdoti; i conventi e i seminari attuali non riescono a formare adeguatamente le persone per la pastorale della selva e neppure della città; sembra che i lunghi anni di preparazione li allontanino dalla gente e li impermeabilizzino ai bisogni reali del mondo attuale.

JOSE' ZANARDINI 26 set 2019 11:00