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di ALBERTO CAMPOLEONI 02 ago 2018 10:14

Crocifisso e parassiti

Serve spazio per creare dialogo, senza far sparire le identità, ma mettendole in gioco con le braccia aperte – così è il crocifisso – pronte a incontrare e non ad escludere

C’è da essere allarmati per la crescita dell’intolleranza, che spesso finisce per ammantarsi e farsi forza di “valori tradizionali”. Intolleranza che trova spazio nell’ormai deriva continua delle parole politiche. Così è stato già ben rimarcato che non si può accettare la definizione di “parassita” usata per una parte delle persone Rom dal ministro Salvini. La “sacca parassitaria” è associata all’illegalità e questo dà ancora più forza alle parole ostili. Perché le lega a fatti reali ed esigenze vere. Come non concordare, infatti, che – come dice il ministro – “noi chiediamo semplicemente parità di diritti e doveri, i bambini devono andare a scuola, le auto devono essere assicurate e va fatta la dichiarazione dei redditi. Bruciare le cose con dei roghi tossici non fa parte della legalità”. Giusto. E così si giustifica l’attacco alla “sacca parassitaria” che invece non soddisferebbe a queste condizioni. Mescolare però il falso – e le parole ostili – con un po’ di vero – le esigenze di legalità ecc. ecc. – restituisce un racconto che ci confonde, ci aliena. E ci porta lontano. Qualcuno ha ben ricordato che il termine “parassita”, unito a una propaganda mirata e palesemente falsa, è stato usato contro gli ebrei, durante il nazismo e il fascismo. Cosa ha prodotto lo dice la Storia.

Un altro allarme riguarda l’accostamento tra le derive appena dette e il ricorso ai valori tradizionali. Non che sia stato fatto direttamente, ma come non trovarlo nei fatti? Quella stessa parte politica che addita i parassiti, da altre parti solleva ad esempio la questione del crocifisso da esporre senza dubbi nei luoghi pubblici, questione che fa l’occhiolino a una rivendicazione identitaria che può trovare ampi consensi. “Usare il crocifisso come un Big Jim qualunque – dice padre Spadaro -– è blasfemo. La croce non è mai un segno identitario. Grida l’amore al nemico e l’accoglienza incondizionata. È l’abbraccio di Dio senza difese”.

Naturalmente la questione del crocifisso è complessa, ma qui interessa la concomitanza di questioni: il rischio è avallare un immaginario collettivo che rinforza le identità le une contro le altre. E fomenta intolleranze. Serve allora attrezzarsi sempre meglio per combattere “il falso”, anche quello mescolato “con un po’ di vero”. Serve spazio per creare dialogo, senza far sparire le identità, ma mettendole in gioco con le braccia aperte – così è il crocifisso – pronte a incontrare e non ad escludere.

ALBERTO CAMPOLEONI 02 ago 2018 10:14