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Brescia
di LUCIANO ZANARDINI 11 nov 2021 08:08

I tempi supplementari

“La pace è una meta sempre intravista e mai pienamente raggiunta. La sua corsa si vince sulle tappe intermedie e mai sull’ultimo traguardo. Esisterà sempre una distanza tra il sogno cullato e le realizzazioni raggiunte. Le labbra delle conquiste non combaceranno mai con quelli dell’utopia e il ‘già’ non si salderà mai con il ‘non ancora’. Ciò vuol dire che sul terreno della pace non ci sarà mai un fischio finale che chiuda la partita e bisognerà giocare sempre ulteriori tempi supplementari”. Le parole di don Tonino Bello, riprese dal libro “Sui sentieri di Isaia”, risuonano quanto mai attuali e rappresentano un monito anche per noi che spesso e volentieri pensiamo che la partita della pace sia stata archiviata con una vittoria o, peggio, che sia una questione di poca importanza. Eppure a pochi chilometri da casa nostra assistiamo a un crescendo di tensioni, violenze e guerre. La cultura della pace si costruisce giorno dopo giorno. È una lunga semina fatta di gesti, attenzioni e iniziative interessanti come il Festival della Pace. Dopo Zehra Dogan (l’attivista curda), ora tocca a Badiucao scuotere le coscienze dei bresciani.

La terra che ha dato i natali a Paolo VI, il cui grido (“Mai più la guerra”) pronunciato alle Nazioni Unite ebbe vasta eco, si impegna per creare un’occasione di confronto e di dialogo. Senza il rispetto dei diritti umani non può esserci vera pace. Ne sa qualcosa Badiucao, il fumettista cinese che risiede in Australia ed è inviso al governo di Pechino. Con le sue vignette fa semplicemente satira politica, denunciando le storture di un sistema che calpesta la dignità dell’uomo. Classe 1986, nel 2007 ebbe l’opportunità di vedere un video con gli avvenimenti di Piazza Tiananmen. Due anni più tardi iniziava la sua produzione artistica censurata in Cina ma apprezzata fuori. Le critiche dell’ambasciata cinese in Italia sono state coraggiosamente rispedite al mittente da parte degli enti organizzatori del Festival e della stessa Loggia. La Cina è vicina. Basta controllare la provenienza di un qualsiasi prodotto (elettrodomestici, giocattoli…) per accorgersi della realizzazione nella PRC (Popular Republic of China) con l’acronimo, sconosciuto ai più, dettato da una chiara strategia di marketing: è più anonimo e non rimanda immediatamente al Dragone.

Il Partito Comunista sa bene di avere puntati su di sé gli occhi del mondo, ma sa altrettanto bene che, con le sue manovre economico finanziarie, può dettare legge. Prosegue la colonizzazione del continente africano garantendosi da un lato una vasta platea di potenziali consumatori e dall’altro una fitta rete di relazioni diplomatiche che possono tornare utili nei grandi consessi come l’Onu. La comunità internazionale ha apertamente condannato la continua violazione dei diritti umani nello Xinjiang, in Tibet e a Hong Kong. Non possiamo stupirci di questo gigante economico dalle mille contraddizioni interne che domina, ad esempio, la filiera dell’energia solare, producendo la maggior parte dei componenti e dei materiali dei pannelli. Non ci interessa poi molto che le aziende dell’energia rinnovabile si trovino prevalentemente nella regione dello Xinjiang dove il programma di formazione e istruzione della minoranza uigura prevede i lavori forzati nei “campi di rieducazione”. Davanti alle proteste internazionali, il ministro Wang Yi ha declinato l’idea cinese di diritti umani: “Il senso di guadagno, felicità e sicurezza delle persone è il perseguimento fondamentale dei diritti umani nonché l’obiettivo finale della governance nazionale”. E ha attaccato gli Stati esteri perché ricorrono al tema dei diritti umani solo per interferire negli affari interni. E noi? Proviamo almeno a informarci. L'arte di Badiucao ci viene in aiuto.

LUCIANO ZANARDINI 11 nov 2021 08:08