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di ROSSELLA DE PERI 15 dic 2022 09:22

La relazione è cura

Nella Legislazione 219, del 2017, art.1, comma 8 si afferma testualmente: “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”. La comunicazione e, quindi, la relazione è cura. La portata di questa affermazione è enorme. Dare tempo e qualità alla relazione non è lasciato, per così dire, alla libera iniziativa del singolo operatore sanitario (in senso lato), ma è un dovere professionale. Ogni operatore sanitario ha nelle mani uno strumento potentissimo, la relazione, appunto, che ha il diritto\dovere di usare perché dare tempo e qualità alla relazione col paziente è già curarlo. La cura non è quindi solo diagnosi e terapia, ma anche relazione. Perché quando una persona sta male nel corpo, soffre in tutte le sue dimensioni, non solo nel corpo: per questo non si può prendersi cura solo del corpo.

Tutti noi, come pazienti, abbiamo fatto esperienza di quanto ci faccia bene, sia cioè benefico aver a che fare con un operatore sanitario che è gentile, che ci ascolta, che ci dà l’impressione di non essere solo un “caso”, ma una persona, con tutta la dignità che le va riconosciuta. E questo non va considerato un di più, ma è professionalità, “semplicemente” professionalità. Perché la relazione tra operatore sanitario e paziente è asimmetrica, cioè il paziente è nella condizione di fragilità rispetto all’operatore sanitario e questo va tenuto presente nell’approccio. Verso il più fragile bisogna usare accortezza, delicatezza e sensibilità in primis. Il paziente, cioè, è emotivamente provato (chi più, chi meno): potrebbe non capire ciò che gli si sta dicendo perché troppo agitato: bisogna avere la pazienza di usare una terminologia adeguata e rispiegare, se necessario.

E questo tempo non è inutile: è già curarlo. Se il paziente inoltre comprende bene ciò che gli viene detto sarà anche più collaborante nella terapia. Dare tempo al paziente affinchè possa raccontarsi, narrare la sua storia, è già un po’ guarirlo, perché gli si dà benessere. La compassione (nel senso etimologico del termine: cum patior= soffro con te) è spesso anche silenzio, ma un silenzio carico di ascolto e di compartecipazione. Nel caso di patologie serie, con prognosi infausta, dire la verità al paziente non è solo svelare, ma anche trasmettergli la promessa di un accompagnamento: nel momento in cui ti dico la verità, ti prometto di accompagnarti. L’operatore sanitario sa che non può guarire quel malato, ma lo guarderà con occhi che assisteranno, accompagneranno, si prenderanno cura. Cos’è tutto questo se non professionalità, doverosa professionalità?

ROSSELLA DE PERI 15 dic 2022 09:22