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Brescia
di DOUGLAS SIVIERI 12 lug 2018 08:19

Provvedimento che non aiuta le imprese

Il nuovo governo ha appena iniziato a lavorare, lungi da noi l’intenzione di unirci al coro dei tanti che criticano a priori, ma qualcosa sul cosiddetto decreto dignità bisogna pur dirlo. Il ministro Di Maio, nell’annunciare una serie di norme più stringenti sull’utilizzo di contratti a termine, ha definito il decreto la Waterloo del lavoro precario

Il nuovo governo ha appena iniziato a lavorare, lungi da noi l’intenzione di unirci al coro dei tanti che criticano a priori, ma qualcosa sul cosiddetto decreto dignità bisogna pur dirlo. Il ministro Di Maio, nell’annunciare una serie di norme più stringenti sull’utilizzo di contratti a termine, ha definito il decreto la Waterloo del lavoro precario. Senza scomodare la storia è opportuno ricordare che l’Italia non è il Paese del lavoro a termine. Per l’Istat questa tipologia di lavoro rappresenta il 13,1% del totale (dati di maggio), in linea con la media dei Paesi europei e di gran lunga inferiore a Spagna e Polonia, dove è a termine più di un lavoro su quattro. Si può migliorare, certo, ma di qui a dire che questo è il problema ce ne passa parecchio. In Italia, questo sì, c’è invece un grosso problema di lavoro nero (tre milioni di persone, più o meno come il numero di contratti a termine) ma di questo il decreto dignità nulla dice né mostra di interessarsi. Eppure sarebbe un bel tema, perché oltre che poco dignitoso per i lavoratori, il lavoro nero rappresenta anche una delle più gravi forme di concorrenza sleale tra imprese. Oltre all’aspetto normativo, il decreto sembra però cozzare soprattutto contro l’andamento attuale dell’economia. C’è una ripresa fragile in corso da tempo e qualche effetto inizia a esserci anche sull’occupazione. I dati diffusi dall’Istat nei giorni scorsi stimano un aumento sensibile del numero di occupati in tutte le fasce di età, al punto che il tasso di partecipazione al lavoro è tornato ai livelli pre crisi. Non è abbastanza, certo, ma come sempre quantità e qualità del lavoro non nascono per decreto, considerazione che valeva ai tempi del Jobs Act e che vale anche oggi col decreto dignità. L’economia e il lavoro stanno cambiando rapidamente. Il tempo determinato si concentra molto negli alberghi, nel commercio, nella ristorazione, nei settori del terziario considerati a bassa produttività e molto legati alla stagionalità. Si tratta mediamente di lavoro povero e scarsamente professionalizzato. Il decreto, su questo, poco o nulla potrà fare perché l’economia sta andando da un’altra parte.

Da tempo si sottolinea che anche il lavoro sta cambiando, che domanda e offerta stentano a incontrarsi, che servono capacità di adattamento e formazione continua, che tanti giovani studenti non sanno ancora che lavoro faranno domani semplicemente perché quel lavoro ancora non esiste. Questo è il quadro e soffermarsi ancora una volta sulla norma e l’inquadramento giuridico non aiuta a comprendere le trasformazioni in atto nell’economia e nel mercato del lavoro. Anche perché non vi è dubbio che il lavoro a termine sia soprattutto ciclico e tenda ad aumentare quando l’economia tende a crescere all’interno di una fase di instabilità ed incertezza di lungo periodo. Una considerazione, infine, sull’uso del linguaggio. È culturalmente sbagliato collegare il concetto di dignità del lavoro alla sua inamovibilità, fosse anche solo per rispetto nei confronti dei tantissimi lavoratori in regime di partita Iva che di tutele non ne hanno proprio, di rischi ne hanno tantissimi, ma faticano e svolgono lavori dignitosi come tutti. Vogliamo essere comunque fiduciosi, convinti che nel governo ci siano anche certe sensibilità verso il mondo produttivo e verso le piccole e medie imprese in particolare. E quindi, fra governo e Pmi, possa instaurarsi un dialogo davvero fruttuoso e in grado di aiutare il sistema produttivo nella fragile e incerta ripresa in corso.


DOUGLAS SIVIERI 12 lug 2018 08:19