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di GABRIELE FILIPPINI 08 giu 2018 09:06

Umili e sorridenti annunciatori

"Tre sono i nuovi preti diocesani di quest’anno. Appena? Dicono alcuni. Che grazia! Dicono altri... Due atteggiamenti che sembrano opposti. Eppure sono seri e veri entrambi e meritano considerazione"

Tre sono i nuovi preti diocesani di quest’anno. Appena? Dicono alcuni. Che grazia! Dicono altri... Due atteggiamenti che sembrano opposti. Eppure sono seri e veri entrambi e meritano considerazione. Il primo modo di guardare alle ordinazioni del 2018 scaturisce da un’operazione, naturale in chi non è più giovane, di confronto con anni non lontanissimi quando gli ordinandi a Brescia erano nell’ordine di alcune decine e non di unità. Non solo. La diffusa crisi delle vocazioni non è questione di puro confronto col passato: è scottante attualità. Al punto che papa Francesco l’ha contata come la prima fra le tre urgenze pastorali che ha presentato ai Vescovi italiani durante la loro assemblea nel maggio scorso. “Quanti seminari, chiese, monasteri e conventi – si è chiesto – saranno chiusi nei prossimi anni per mancanza di vocazioni?”. Il Papa ha parlato di sterilità vocazionale dentro un triste “inverno demografico”...ma ha esortato anche a non rassegnarsi... e a cercare rimedi efficaci. Il secondo modo di guardare alle ordinazioni con spirito lieto, come per un dono, può e deve scaturire dalla considerazione che pochi preti ordinati ogni anno per i prossimi decenni possono comunque bastare a non far mancare l’essenziale al popolo di Dio, che è sostanzialmente la Chiesa di Cristo. Questo significa, in soldoni spicci, una Chiesa meno clericale, meno concentrata nelle mani del prete, nelle canoniche e nelle capienti strutture pastorali e più affidata anche ai laici, pure chiamati a essere apostoli e missionari, santi. Si tratta di trasformare, pur gradualmente, la nostra mentalità e comprendere che le comunità cristiane potranno essere vive, accoglienti, trasparenti del bene sommo della vita cristiana non in base al numero dei preti ma in base a quanto una varietà di doni, ministeri, servizi saranno messi in campo per il bene degli altri, di tutti.

E i preti, ridotti di numero, avranno un ruolo più “purificato”, ma ben preciso, insostituibile e necessario. In questa prospettiva si può rileggere l’augurio che il vescovo Pierantonio ha rivolto ai suoi primi ordinandi bresciani: “vorrei ricordare loro di lasciarsi accompagnare e amare dal popolo di Dio (…) di avere fiducia nel popolo di Dio (…) il sacerdote guida certo questo popolo, ma da questo popolo è anche sostenuto, confortato, arricchito, gli permette di comprendere meglio le cose.” Questo popolo che li attende non vive, tuttavia, su un pianeta felice: è dentro la società contemporanea che, alcuni mesi fa, il giovane filosofo tedesco Gunnar Hindrichs ha così descritto: “viviamo incollati ai telefonini e alla rete. Pratichiamo sport estremi, siamo ossessionati da cibi e diete sempre più radicali. E non crediamo a nessun ideale, non investiamo in associazioni e in partiti, corrotti per definizione. Quello che ci unisce è, da una parte, la livida, schiumante rabbia e l’acido dell’invidia verso tutti i potenti del pianete, politici, manager o artisti che siano. Dall’altra il panico per il prossimo attentato terroristico, strage di Kamikaze solitari e sedicenti fanatici religiosi”. Difficile dire se la società bresciana si rispecchia in pieno in questo quadretto. Certamente i novelli preti troveranno anche da noi tante paure, incertezze, rabbie e rancori: l’augurio è quello di presentarsi, proprio per questo, come umili e sorridenti annunciatori del vangelo: l’unica medicina che conta, la “buona notizia”, parola di misericordia, riconciliazione e pace. 

GABRIELE FILIPPINI 08 giu 2018 09:06